Infermiera Diaverum Italia
Sono le cinque del mattino, la sveglia squilla impietosa, un caffè al volo e via.
Un assonnato buongiorno a tutti i colleghi e il suono del badge segna l’inizio di questa giornata lavorativa.
Indosso la divisa.
La divisa non è un mero indumento, è una sorta di “status symbol”, mi identifica nel mio ruolo, quello dell’infermiere. La saggezza popolare asserisce che “l’abito non fa il monaco”, ma credo che non sia questo il caso, indossare la divisa non è come premere un pulsante e dire “ora divento infermiere”, l’infermiere è infermiere sempre, sia dentro che fuori ed io personalmente nella mia divisa ci sto molto bene!
Quando si entra in turno in un centro rene, la mattina, per prima cosa bisogna fare il controllo del trattamento dell’acqua e dell’impianto di osmosi che è preposto alla preparazione dell’acqua per la dialisi. Così come Nicolas Flamel alla ricerca della pietra filosofale che trasformava la materia grezza in oro, io, allo stesso modo come una provetta alchimista, mi accerto che venga trasformata e prodotta a dovere un’acqua pura per poter garantire una dialisi efficiente ai nostri pazienti.
Tutti pensano erroneamente che la dialisi inizi e finisca nella sala tra macchinari e pazienti, non è così, la dialisi in realtà comincia proprio dal trattamento delle acque, l’infermiere di dialisi deve perciò accertarsi del buon funzionamento dell’impianto di osmosi e deve saper interpretare correttamente i valori e le variazioni che possono interferire nello svolgimento della terapia dialitica.
Mi accingo poi a preparare il turno: monto le macchine e preparo con cura la postazione che dovrà accogliere il paziente.
Fin dal primo giorno in cui ho cominciato a lavorare nel centro rene, sono rimasta piacevolmente colpita dalla dicotomia che esiste tra il lavoro svolto in corsia, in ospedale e quello all’interno di un reparto di dialisi.
In ospedale il paziente viene identificato con un numero di letto, ad esempio, non è raro sentire in una corsia di medicina, il collega che dice “… vado a fare la terapia al numero 8…” “…al 32…” ecc… in un reparto di dialisi invece la postazione o addirittura il macchinario, prende il nome del paziente a cui è assegnato e non è cosa da poco! Il paziente ha così una sua identità e di conseguenza un ruolo importante nello svolgimento della terapia che gli viene erogata.
Quando finalmente il paziente si siede nella propria postazione, comincio a prepararlo a ricevere la terapia, informo così il medico delle condizioni di salute in cui è arrivato e insieme decidiamo quale sarà la strategia migliore per fare in modo che il paziente superi nel miglior modo possibile il tempo dedicato alla terapia e torni a casa in uno stato di salute ottimale. Un infermiere di dialisi, non è un semplice esecutore, al contrario, interviene attivamente nel processo di cura e decisionale dello svolgimento della terapia dialitica
L’infermiere di dialisi come il paziente dializzato, è “uno di famiglia”. A volte mi sorprendo a pensare che passo più tempo con i miei pazienti che con i miei cari.
Durante la seduta dialitica che si protrae in media per tre ore e mezza o quattro, tra una terapia, una medicazione, un controllo pressorio e l’altro, col paziente si parla del più e del meno. Non ci sono segreti per nessuno, tutti sanno tutto di tutti proprio come in un piccolo condominio.
Generalmente la TV è puntata su un programma di cucina. Le ricette sono tra gli argomenti preferiti dai pazienti dializzati e credo che questa passione per l’arte culinaria sia dovuta più che alla bravura dello chef, alle limitazioni alimentari a cui sono costretti ed è così che una semplice pasta al pomodoro, diventa una prelibatezza di cui parlare e far venire l’acquolina in bocca a tutti.
Capita a volte che taluni pazienti sviluppino verso altri o verso qualche infermiere, antipatie, simpatie e gelosie, sino a bisticciare proprio come si farebbe con un fratello o un genitore, per poi chiedersi scusa qualche minuto più tardi. Mi piace molto questo menage familiare che si instaura all’interno del centro rene, rende il mio lavoro meno pesante e più interessante. A volte mi accorgo di essere per il paziente una confidente, altre invece, sono io a cercare un consiglio e mi rendo conto che le persone che ho davanti non sono solo una patologia, ma un insieme di variabili che dà unicità ad ognuno di loro. Imparo così a conoscere ed apprezzare ogni loro peculiarità, difetto o pregio.
È un privilegio per me aver conosciuto ognuno dei miei pazienti, mi hanno fatto crescere professionalmente e come persona. Li ricordo con tanto affetto uno per uno.
Il mio turno volge al termine.
Purtroppo, non ho la soddisfazione dei miei colleghi di corsia nel mandare a casa i pazienti guariti dalla loro patologia, ma sono ugualmente gratificata e felice di poter garantire loro una migliore qualità di vita, fino al prossimo turno di dialisi.